COSA CI SARA' MAI DI BELLO A CASSANO D'ADDA?

Il Festival si svolge a Cassano d'Adda, una cittadina che costeggia i fiumi Adda e Muzza, ma che è toccata anche dal Naviglio Martesana. Una "culla" di cultura e di storia, ma anche di arte e natura, incastonata tra la provincia di Milano, di Bergamo e di Cremona.
Di seguito potrai trovare alcuni dei monumenti, accenni storici e personalità illustri che hanno caratterizzato questa realtà, senza tralasciare le frazioni di
Groppello d'Adda e Cascine San Pietro. 

Raggiungibile dall'autostrada A4 uscita Trezzo sull'Adda e dalla BreBeMi uscita Treviglio. 

COSA CI SARA' DI BELLO A CASSANO? 

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«Cosa ci sarà mai di bello a Cassano d’Adda?»
mi chiedono gli amici, quando comunico i miei programmi per il sabato pomeriggio. Ormai ci ho preso gusto nella ricerca di quel “bello” che sembra tanto difficile da trovare senza andare dall’altra parte del mondo e che invece mi sorprende sempre, nei posti più insospettabili. Cassano mi è sempre sembrato un paese interessante e anche piuttosto vivo, e quindi ho deciso di andare a curiosare tra le sue vie.

Lascio l’auto proprio davanti alle scuole elementari, il cui edificio mi colpisce subito: i muri rossi, gli infissi verdi, e il font della scritta «sezione femminile» sopra alla porta mi fanno pensare che siano state costruite intorno agli anni Trenta, anche se le mie ricerche non hanno confermato l’ipotesi. Quel che è certo è che le scuole sono intitolate a Quintino di Vona, antifascista salernitano che venne fucilato ad Inzago nel 1944.


Villa Borromeo e Casa Somaglia


Cassano, come altri comuni della zona, è stata in passato un luogo ambito per la villeggiatura delle nobili famiglie milanesi, che lungo l’Adda cercavano un po’ di fresco durante l’estate. Le ville sfarzose da queste parti non mancano, e avvicinandomi al centro del paese lungo via Vittorio Veneto incontro presto Villa Borromeo d’Adda. L’edificio settecentesco è privato, ma è possibile comunque ammirarne l’elegante facciata neoclassica, che cela chissà quali meraviglie al suo interno, purtroppo riservate a matrimoni, eventi e a volte riprese televisive. Dalle ringhiere esterne si riesce a sbirciare anche l’enorme giardino, curatissimo e deserto.

Esattamente dal lato opposto della strada, Casa Somaglia ha avuto un destino opposto: realizzata nel Seicento, dopo aver subito diverse modifiche ospita oggi l’Oratorio San Giovanni Bosco e in questo caldo sabato pomeriggio l’elegante cortile interno è animato da gruppetti di bambini e ragazzini di ogni età.


La Chiesa Parrocchiale


A pochi passi dall’Oratorio non è mi difficile notare l’enorme Chiesa parrocchiale dell’Immacolata e San Zeno. Nonostante parte dell’edificio sia crollato nel 1890 e ricostruito in seguito, sono stati mantenuti la facciata settecentesca e il campanile medievale, mentre all’interno sono conservati un polittico di Fasolo che risale al Cinquecento e un’importante statua della Madonna di Caravaggio del Settecento. Entrando in chiesa mi accorgo di quanto sia effettivamente grande l’edificio e resto per lunghi minuti con il naso all’insù, incantata dal soffitto affrescato dove i dipinti giocano con le luci che filtrano dalle vetrate colorate.

Non c’è però tempo da perdere: Cassano ha ancora molto da svelare, e quindi procedo nella mia esplorazione fino a giungere in Piazza Garibaldi, una piazza singolare perché non ospita edifici particolari ma è una sorta di slargo tra due strade. Pare che fu questo il motivo per cui nel 1938 l’amministrazione fascista dell’epoca decise di porvi quella che ancora oggi è chiamata «Alzabandiera», una sorta di pedana rialzata su cui si avevano luogo le adunate militari, mentre poco distante fu costruita la Fontana del Delfino, sempre nello stile dell’epoca. Ad oggi la piazza rimane molto simile, non fosse per l’aggiunta di alcune panchine e le modifiche alla fontana: il delfino è ora fiancheggiato da due statue che rappresentano rispettivamente il fiume Adda e il canale Muzza, che scorrono entrambi poco più in basso.


Fontana del Delfino


Prima di scendere verso le vie d’acqua di Cassano, mi aspettano due deviazioni: la prima è verso la gelateria affacciata su Piazza Garibaldi, dove mi è stato promesso un ottimo gelato. La seconda è oltre il vicino portone, sormontato da un orologio e sui quali pilastri campeggiano i busti di Giuseppe Garibaldi e Vittorio Emanuele II. Questo portone è infatti l’accesso al cuore di Cassano d’Adda, quello che in dialetto viene definito ruscett . Si tratta di un piccolo villaggio fortificato che abbraccia il Castello, fatto costruire già nel 1328 da Ottone Visconti, per accogliere la popolazione in caso di assedi da parte dei nemici. Il ruscett è un piccolo dedalo di stradine acciottolate, dove nel pieno del pomeriggio risuonano solo i miei passi e il fruscio dei panni stesi al sole dai balconi.

La pace del ruscett viene interrotta nel momento in cui mi affaccio sulla piazza del Castello, dove un’auto d’epoca ha appena scortato una coppia di sposi seguiti da un gruppo nutrito di invitati: a quanto pare anche il Castello Visconteo è una meta ambita per le cerimonie. L’edificio, dopo aver accolto re Carlomanno nell’anno 887, essere stato conteso per tutto il Medioevo, prima tra Guelfi e Ghibellini e poi tra Torriani e Visconti, aver protetto i confini del Granducato Milanese dalla Repubblica di Venezia nel periodo degli Sforza, è oggi infatti un lussuoso hotel, ristorante e sede di eventi.

Castello Visconteo

Pare che all’interno siano conservati degli affreschi di scuola giottesca, ma mi devo accontentare di osservarne le facciate esterne mentre mi riparo dal caldo all’ombra di un gelso. Questo gelso è prezioso e a Cassano è tenuto in grande considerazione: si tratta infatti un albero secolare, l’unico superstite di qualche migliaio di altri esemplari che fino al 1915 erano una risorsa economica fondamentale per il paese, dato che una parte del Castello Visconteo era adibita a setificio.

Dopo questa piccola pausa all’ombra è giunto il momento di scendere lungo il canale Muzza, su cui il lato retrostante del castello si erge molto più maestoso e inespugnabile di quanto non lo sia sulla piazza. Vorrei attraversare il ponte che sovrastando il canale porta all’isola Borromea, ma a questo punto la pigrizia e il caldo hanno la meglio e proseguo quindi ancora per pochi metri fino ad arrivare a un luogo che so essere perfetto per la pausa che mi serve: il Dopolavoro.


Dopolavoro


Di questo posto adoro lo stile razionalista molto particolare, che ricorda una nave: fu infatti edificato tra il 1939 e il 1940 su idea del Senatore Borletti, all’epoca Presidente del vicino Linificio Canapificio Nazionale. La canapa veniva utilizzata principalmente per produrre corde utilizzate nell’industria navale, e il richiamo è ben chiaro nella forma dell’edificio, nelle decorazioni intorno alle finestre laterali e nella “prua” di mattoni rossi. All’epoca, il Dopolavoro forniva ai dipendenti del Linificio una serie di servizi, quali bar, biblioteca, un piccolo teatro, docce e bagni, mentre oggi lo trovo personalmente un ottimo posto per bere una birra fresca o cenare con un hamburger davanti al canale Muzza o sulla terrazza, a patto di non dimenticare il repellente per le zanzare.

Dopo l’aperitivo, la lunga serata estiva mi concede ancora qualche momento di luce che dedico al Linificio Canapificio, chiuso e abbandonato dal 1995 dopo essere stato a lungo uno dei più grandi in Europa. La storia industriale di Cassano, già ai miei occhi molto affascinante, lo diventa ancora di più davanti agli edifici sbarrati e ricoperti di graffiti, che oltrepasso per avvicinarmi alla centrale idroelettrica che alimentava l’azienda, la Centrale Rusca.


Il linificioIl linificio


Ho la fortuna di imbattermi in una persona molto gentile, che vedendomi sbirciare incuriosita tra le ringhiere del Linificio mi racconta delle diverse proposte di riqualificazione del luogo che si sono susseguite negli ultimi anni. Lui stesso abita nelle case operaie che erano state costruite a beneficio dei dipendenti del Linificio Canapificio.

I raggi del sole si fanno sempre più bassi ed orizzontali, mentre risalgo verso il cimitero. Dalla salita, mi volto un’ultima volta per guardare gli edifici del Linificio sprofondati in mezzo al verde rigoglioso che si sta riprendendo il suo spazio.

Mi affretto per tornare verso il campo sportivo, dove si tiene una delle numerose sagre che affollano le estati lombarde, ultima meta della mia giornata. Ho macinato un bel po’ di chilometri: Cassano è molto più estesa di quanto immaginassi, e ancora non ho visto tutto. Dalle sponde del canale Muzza ho solo intravisto la torre di Villa Maggi Ponti, mentre mi sono sicuramente persa il lato migliore di Villa Gabbioneta, senza contare tutte le altre ville splendide sparse per il paese e la piccola Chiesa di San Dionigi, di cui sono venuta a conoscenza troppo tardi.

Gli ultimi istanti di un tramonto arancio si riflettono sul Canale della Martesana, dandomi nuovi idee per prossime esplorazioni: proseguendo da questo lato si incontra Groppello d’Adda, dove si trovano una grande ruota idraulica che pare essere stata progettata nientemeno che da Leonardo da Vinci in persona, e il Palazzo Arcivscovile, che dall’anno Mille fino all’inizio del XX secolo fu sede di villeggiatura dei vescovi della seconda diocesi più importante del mondo, dopo Roma: quella ambrosiana. Insomma, questo piccolissimo angolino di mondo ha una concentrazione tanto alta di luoghi interessanti da chiedermi quanti ce ne siano ancora di cui ignoro l’esistenza, così vicini a casa.


(Articolo di Lisa Egman per L'ECO DI BERGAMO)

IL CASTELLO DI CASSANO D'ADDA

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Maestoso, un po' altezzoso, cromaticamente e architettonicamente leggermente confuso, il castello di Cassano d'Adda svetta sull'argine del canale Muzza, accogliendo con severità il viaggiatore che proviene dalla pianura bergamasca. Si presenta, a prima vista, in modo sicuramente originale, privo cioè delle fondamentali caratteristiche che accompagnano i castelli lombardi: : nessun merlo, una sola torre, nessun bastione, nessun fossato. Questa singolare parvenza estetica altro non è che il risultato di una plurimillenaria storia di rimaneggiamenti e di abbandoni .

Non è possibile datare con esattezza l'anno della costruzione del maniero cassanese; è comunque certo che nell'anno 887 accolse il tedesco re Carlomanno che fu il primo di una non trascurabile serie di ospiti che soggiornarono tra le possenti mura della rocca abduana. Anche re Enzo, figlio di Federico II di Svevia, infatti vi si trattenne nel 1245 mentre Ezzelino III da Romano vi fu fatto prigioniero nel 1258 prima di essere tradotto a Soncino. Il Castello di Cassano seguì le vicende politiche della vicina Milano, conteso tra Torriani, Visconti e Sforza. Nel 1446 visse una breve parentesi veneziana con il dominio della Serenissima che lo fortificò, lo cinse di un fossato e lo dotò di bastioni e fortilizi all'imbocco della Muzza. Qualche anno più tardi, tuttavia, il maniero già quasi millenario, tornò definitivamente sotto la potenza ambrosiana alla quale legò fortune e sventure. Tra il 1451 e il 1474 il castello fu al centro di una intensa opera di rimaneggiamento e fortificazione: l'architetto Bartolomeo Gadio, che saldò il suo nome all'unica torre presente nella struttura militare cassanese, fu incaricato di eseguire lavori che ne interessarono la rocca, il revellino e i contrafforti sull'Adda. Fu necessario attendere altri tre secoli perché il vecchio castello tornasse all'attenzione di architetti e ingegneri: fu Carlo Emanuele III di Savoia, re di Sardegna, a fortificare il maniero su progetto del capomastro Perrucchetti, antenato del fondatore degli Alpini. Fu questa l'ultima boccata di ossigeno per l'ormai stanca ed inutilizzata fortezza. Nel 1764, in pieno illuminismo, si fece demolire il portone del ricetto, che cingeva il borgo fortificato e si procedette ad altre opere di smantellamento: nel 1776 potè ufficialmente dichiarasi finita l'importanza militare del castello di Cassano tanto che se ne meditò una poco gloriosa demolizione. Negli anni settanta del XVIII secolo, infatti, si pensò di utilizzare l'area compresa tra il ricetto, il castello e il convento dei cappuccini per la edificazione di una dimora di residenza per il principe Ferdinando, figlio di Maria Teresa. La grande spesa, la distanza da Milano e, soprattutto, l'umidità della zona fecero abbandonare presto il progetto che si avvalse delle firme degli architetti Fè, Nosetti e Ferrari.

Superata la sua funzione bellica tra il XVIII e il XIX secolo , il maniero fu riadattato ad usi diversi; sede di pretura e carceri, caserma militare. Nel Novecento continuò incessante l'opera di "snaturalizzazione" del castello che finì per ospitare una filanda, sede di Pretura, officine, laboratori artigianali, malsane abitazioni. Fino ai primi anni Ottanta vi si trovava anche una frequentatissima discoteca ricordata con nostalgia dai giovani dell'epoca. Ogni ambiente della rocca finì insomma vittima dell'incuria e del più sconfortante degrado. Agli inizi degli anni Novanta si registrò un improvviso quanto inatteso colpo di spugna: si sbaraccò tutto quanto non attinente alla vetustà e alla importanza del luogo e si diede il via a lavori di restauro che restituirono, almeno esternamente, un certo decoro all'antico castello . Agli inizi degli anni Duemila la rocca che fu dei Visconti, pare voler far parlare ancora di se. Ne è una riprova quanto accadde nel 1999, anno in cui ritrovarono la luce alcuni meravigliosi affreschi di scuola giottesca. Un capolavoro di finissima fattura maldestramente celato sotto un robusto strato di calcina .in una cappella patrizia che aveva finito per diventare una coppia di miniappartamenti. Passato l'iniziale entusiasmo, tuttavia, l'imprevisto ritrovamento, che portò il castello di Cassano anche al centro dell'interesse della stampa nazionale, i riflettori sembrano essersi di nuovo spenti su questo prezioso tesoro della storia lombarda.

Marco Galbusera

LA VILLA BORROMEO

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Giunti a Cassano d'Adda, abbandonando l'Alzaia e lasciatesi alle spalle le rapide acque del Naviglio Martesana nei pressi di Cascina Volta (chiamata probabilmente in questo modo per la forte sterzata che il corso del canale riceve in questo punto in direzione Milano) si imbocca la anonima via Tornaghi. Voltando a sinistra al successivo incrocio popolarmente detto delle Quattro strade (un tempo importante crocevia tra le direttrici del Lodigiano, del Bergamasco e del Milanese) si realizza l'inatteso e confortante incontro con Villa Borromeo, gioiello del neoclassicismo lombardo e perla tra le non poche bellezze architettoniche cassanesi.

Questo palazzo, che può considerarsi il simbolo della cittadina abbarbicata alle estreme propaggini della provincia ambrosiana, vanta una lunga e tormentata storia. Al disattento viaggiatore che si trovi ad attraversare il convulso e trafficato centro storico rischia quasi di sfuggire la vista dell'elegante edificio settecentesco che, quasi a fatica, si fa strada nella schiera di modeste costruzioni che incanalano via Veneto, l'infelice tratto cittadino della Strada Padana Superiore. La mancanza di una immediata panoramica prospettiva, conferita da un lungo viale o da un ampio piazzale (come nello stile architettonico dei palazzi patrizi del XVIII secolo), rende necessaria per ammirarla degnamente, una sosta. La miglior postazione per gustarla appieno è, forse, proprio ai piedi dell'imponente cancellata in ferro battuto; qui, dove più smorzate giungono le distrazioni del traffico , finalmente si viene catturati dalla maestosa bellezza della sua struttura e pare quasi che la recentemente ritrovata freschezza delle sue nobili linee voglia intrattenere l'ignaro osservatore, facendolo partecipe della storia della sua lunga esistenza.

Tutto ebbe inizio nel 1781, quando Giovanbattista D'Adda, investito del feudo di Cassano ed alla ricerca di una dimora degna di tanto titolo, incaricò il celebre architetto Giuseppe Piermarini (autore di capolavori quali il Teatro alla Scala di Milano e la Villa Reale di Monza), di realizzare una nuova residenza, rimaneggiando la preesistente struttura barocca opera di Francesco Croce ( che ancora sopravvive nella facciata posteriore del palazzo). L'abbinamento tra barocco e neoclassico, non infrequente nel milanese, ha così contribuito alla nascita di una tra le più pregevoli fabbriche architettoniche italiane. Lo scorrere delle vicende storiche dei convulsi anni dei secoli XVII e XVIII, gli stravolgimenti politici, le furiose battaglie che interessarono Cassano e il suo territorio, sembrarono relegare in secondo piano il palazzo dei marchesi D'Adda. Sovrani e ufficiali, che si trovarono a battagliare nel cassanese e nella Gara preferirono per i loro incontri diplomatici o bellici il vicino Palazzo Sannazzari ( oggi Villa Brambilla ), che ebbe l'onore di ospitare Napoleone I (che tuttavia fu in palazzo D'Adda nel 1607 con Gioacchino Murat), Napoleone III e il primo re d'Italia Vittorio Emanuele II. Nel 1879, con la morte del marchese Vitaliano, il titolo nobiliare e, conseguentemente, la prestigiosa residenza passarono alla famiglia Borromeo che dimorò a Cassano fino ai primi decenni del secolo XX, dando un nuovo nome al palazzo.

Le alterne sorti delle vicende umane e finanziarie dei nuovi proprietari si riflessero, dopo il secondo conflitto mondiale, in un progressivo stato di abbandono e di incuria dell'edificio. Passata la buia parentesi bellica, durante la quale Villa Borromeo, per volere dei comandi tedeschi e delle autorità della effimera Repubblica Sociale, venne improvvisata a scuola, si assistette ad una incuria sempre più intollerabile, che sfociò nello smembramento delle sue austere sale in tanti piccoli appartamenti destinati dapprima ad ospitare autorità locali (come il pretore) e poi ad essere occupati da decine di inquilini ignari dell'artistico rilievo del luogo. I successivi passaggi di proprietà furono le cause di un ulteriore degrado che per anni offuscò l'originario splendore della settecentesca dimora. Solo alla fine degli anni Ottanta si registrò l'inizio di una ormai indifferibile opera di recupero e ristrutturazione. Villa Borromeo, di proprietà privata, è oggi un centro di congressi, meeting e cerimonie, non disdegnando talora la funzione di set per produzioni cinematografiche o spot pubblicitari. Nel 1986 le poste italiane hanno celebrato il palazzo cassanese dedicandogli un francobollo della apprezzata serie "Ville dItalia".
Marco Galbusera

PALAZZO CORNAGGIA MEDICI

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A Cassano d’Adda, singolarmente, i due principali edifici legati alla comunità (chiesa parrocchiale e municipio) non si trovano in una piazza ma si innalzano uno di fronte all’altro, ai due lati della strada Padana Superiore. Palazzo Cornaggia Medici è sede di parte degli uffici comunali. Costruito nel 1780 dal Marchese Antonio Cornaggia, sull’area in precedenza occupata dall’oratorio della Confraternita del Santissimo Sacramento, l’edificio, a due piani, presenta un irregolare schema ad U. Il cortile si presentava fino agli anni Trenta del XX secolo più ampio, chiuso in facciata da una recinzione in muratura poi abbattuta per consentire l’ampliamento della carreggiata di via Vittorio Veneto. Attualmente la corte è caratterizzata da un portico su archi ribassati e colonne binate. Un balconcino, che sovrasta l’ingresso principale, rappresenta l’unico motivo di eleganza in una struttura architettonica abbastanza semplice. Il retro dell’edificio non gode di una armonica conformazione e risente dei numerosi interventi di riadattamento alle varie destinazioni dell’immobile. 
Sede del Municipio fino al 1972, fu poi destinato a Biblioteca, aule scolastiche e spazio civico, fino ai lavori di restauro che interessarono l’intero complesso tra il 2007 e il 2008. Nel 2009 il palazzo è tornato ad ospitare gli uffici pubblici. 

CASA SOMAGLIA

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Esattamente dal lato opposto della strada rispetto alla Villa Borromeo, si erige Casa Somaglia: realizzata nel Seicento per volere della famiglia da cui ne deriva il nome, dopo aver subito diverse modifiche passando da innumerevoli proprietari che l'anno affittata e perfino trasformata in officina meccanica tra l'inizio e la prima metà del 900', ospita oggi l’Oratorio San Giovanni Bosco.  La sua particolarità porta a vedere una contrastante realtà, ovvero affreschi, capitelli e l'arte elegante del cortile interno con l'animata vivacità di gruppi di bambini e ragazzini di ogni età che lo vivono.
L’edificio, dotato di una sobria eleganza, fu realizzato nel XVII secolo quale residenza della famiglia Benzi e deve il suo nome ad uno dei successivi proprietari: i conti della Somaglia. Il palazzo, che
si trova proprio dirimpetto alla più elegante Villa Borromeo, presenta una pianta rettangolare, anche se ha subito nel corso dei secoli numerosi rimaneggiamenti che ne hanno in gran parte compromesso l’originale armonia architettonica. 
Fu affrescato nel 1694 da Giovanni Mariani e Francesco Anguiano.
Della passata importanza della struttura sopravvivono l’ampio cortile, che presenta ancora tracce dell’ampio portico, e soprattutto la singolare scala ellittica che porta al primo piano. 

CASA BERVA

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Casa Berva ha il merito di trovarsi in uno dei più incantevoli angoli di Cassano d’Adda, in una invidiabile posizione che consente di ammirare uno splendido panorama sul canale Muzza e le campagne circostanti. Fu edificato nei primi anni del XVIII secolo ed è caratterizzato da una pianta ad U a tre piani, si apre su via Verdi con un alto e ampio portone di ingresso. Un balconcino elegante sovrasta il portone, spezzando la geometria della facciata.
Nel cortile - profondamente rimaneggiato negli anni Novanta del XX secolo - si aprono le due scale laterali, di cui quella destra rimasta nel suo originario assetto. Il piano nobile, destinato ad ospitare eventi culturali ed artistici, è ingentilito da originali cicli di affreschi di carattere floreale e paesaggistico. Di proprietà comunale, il palazzo è collegato da una galleria sotterranea, oggi chiusa al pubblico, al sottostante parco - attualmente denominato Belvedere - che si estende a declivio fino alle acque del canale.


IL PORTONE DEL "RUSCETT"

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Il portone del "Ruscett" da circa tre secoli separa la piazza principale della cittadina dal vetusto villaggio fortificato. Si tratta di un monumento poco conosciuto ma decisamente importante per il borgo cassanese. La sua storia risale al 1764 quando il Procuratore generale del feudo cassanese Cesare Somazzi fece demolire il vecchio portone, millenaria eredità medievale, destinando all'oblio gli ultimi avanzi del ponte levatoio del vicino castello.

A testimoniare questa "rivoluzione" architettonica e urbanistica del borgo cassanese è don Domenico Milani, sacerdote a Cassano proprio alla fine del XVII secolo e che nei suoi preziosissimi "Annali" offre una ampia panoramica della ricca cronologia della cittadina "Aveva tutti i contrassegni dun ponte levatore, - così descrive don Milani, il distrutto manufatto - e come tuttora si vede dai fondamenti, sporgeva in fuori dal muraglione di cinta, del quale rimane il resto ancor tutto rustico dalla parte di tramontana."

Al posto della vecchia e ormai inutile infrastruttura si progettò di innalzare, per motivazioni esclusivamente estetiche e celebratorie, un nuovo arco. Per dare onore al marchesato dei Bonelli si fece così erigere una grandiosa porta con l'arma della allora potente casata.

Il piccone demolitore del governo asburgico ha quindi privato Cassano d'Adda di una delle sue più antiche vestigia. Rientrava tuttavia nella mentalità dell'epoca progettare la apertura degli ormai militarmente obsoleti borghi fortificati per dare maggior respiro e prestigio architettonico ai centri urbani. Si procedette così in quegli anni alla progettazione della piazza cassanese negli spazi che ancora oggi, sommariamente, la caratterizzano.

Nel 1787 ebbe termine la edificazione del nuovo arco: ai suoi lati furono eretti due palazzi dalle facciate "nobili", secondo il gusto e i canoni estetici del momento. A disegnare il nuovo ingresso del Ruscet fu chiamato Martini, allievo del Piermarini, genio della architettura lombarda nonché autore della ristrutturazione di Palazzo D'Adda (l'attuale Villa Borromeo). Ad ornarlo con finte lesene, greche e accorgimenti da "tromp-loeil" ci pensò invece il pittore Bonacina. Quelle lontane affrescature, pressoché sconosciute ai cassanesi più giovani, sono ricomparse nel 2002 grazie al sapiente lavoro dei restauratori che ha saputo riportare all'antico splendore uno degli angoli più suggestivi della cittadina .

Pure tornati alla bellezza originaria sono i busti di Vittorio Emanuele II e di Giuseppe Garibaldi, collocati ai lati del "Purtun" tra il 1909 e il 1910.

Marco Galbusera


LA VILLA BRAMBILLA - ROSALES

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Dopo la villa D'Adda-Borromeo questa è la più nota e più bella esistente in Cassano.L’abitava nel 1687 il marchese Rosales facilmente identificabile con quel feudatario di Vailate che nel 1658 fu processato e incarcerate per aver concesso il passaggio del ponte di Cassano alle truppe del duca di Modena che invadeva Milano. Doveva essere ben gonfio di superbia se perfino il suo cocchiere era soprannominato "il pavone".Nel 1770 qui abitava Giuseppe Pezzoglio finanziere ricchissimo che "fatti dei grandiosi acquisti in queste vicinanze, dimorava quasi tutto l'anno in Cassano" (Milani). Aveva acquistato anche le Seghe da Carlo Sonzogni e dalla Comunità (dove è attualmente il Dopolavoro). 

Nel 1771 aveva promesso generoso aiuto per la costruzione della nuova chiesa parrocchiale mentre assisteva alla posa della prima pietra col marchese D'Adda, e ottenuto una tribuna privata quale benefattore. Ma improvvisamente era morto nel febbraio 1775. Diventa proprietario il nobile Giacomo Sannazzari della Rippa ricco mercante milanese.Nel 1778 passaggio di proprietà da Pezzoli don Giacomo; Cassinello, Palazzo nobile, provenienza Canzi, Vigna Zaffranino vigna Peducchio, Vigna Ronco con casa civile, Vigna Legnana, prato Guaitana, casa in castello, Nosetto, Brugnolo a Giacomo Sannazzari. 

Nel 1790 sono inaugurati i giardini. Il 15 giugno 1796 pernotta in questa villa Napoleone Bonaparte con la moglie Giuseppina durante la campagna italiana. La villa, il castello ed il palazzo Miconi (l’attuale oratorio maschile) diventano, durante 1'occupazione francese, ospedale militare.Nel 1806 il palazzo diventa proprietà dell'ospedale di Milano di cui il Sannazzari è generosissimo benefattore, destinando la somma di Lire 2.872.000 e diversi quadri, tra cui un Bellini e lo "Sposalizio della Vergine” di Raffaello, gia acquistato dal gen. Lecchi nel 1802 per 50.000 lire.La famiglia Brambilla succede in questa proprietà nel 1821.Il palazzo nel 1859 è quartiere generate di Napoleone III | 

 | re ed imperatore dei francesi che qui si incontra con Vittorio Emanuele II alla vigilia della battaglia di Solferino e S. Martino.La villa Brambilla è interessante per 1'architettura scenografica e per il giardino degradante sulla Muzza, le cancellate in ferro battuto, le statue in cotto di scuola fantoniana.La cappella al cimitero ricorda la nobiltà e la ricchezza della famiglia.

LA VILLA MAGGI - PONTI

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Ubicata lungo la sponda della Muzza, in quota decisamente più bassa rispetto al centro storico, di questa villa colpisce in particolare, la torre d’ingresso, che imita la torre merlata dei castelli medievali. L’edificio si configura verso l’esterno come una corte chiusa senza altri elementi di particolare rilievo ed è ubicato su un’isola, che prende il nome dall’iniziale proprietario di questo luogo, l’Ing. Pietro Ponti, industriale e proprietario terriero. La villa all’interno del cortile non ha elementi architettonici particolari, anche a causa delle distruzioni subite nel corso della Seconda Guerra Mondiale quando a causa dei bombardamenti andarono distrutte dodici delle originarie sale di rappresentanza attualmente utilizzate. Degno di nota è il giardinetto adiacente la villa, classicheggiante, con la piccola fontana, che lateralmente è chiuso da un piccolo portico formato da
colonne in granito che appartennero al Lazzaretto di Milano del 1630. Nel 1928, a ricordo dell’opera di recupero paterna, la figlia Emilia volle porre una targa di marmo che è visibile ancora oggi.

VILLA MILANI

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Quella dei Milani fu una delle famiglie più importanti nella storia di Cassano d’Adda e che ha regalato al territorio stimati professionisti e numerosi sacerdoti. Nel 1803 i Milani fecero costruire la loro residenza in fondo a quella che attualmente è denominata via San Dionigi (nella “cuntrada di Buasc”), proprio di fronte all’edificio definito “casa dell’esattore spagnolo” e che è uno degli edifici residenziali più antichi di Cassano. Villa Milani non fu quindi realizzata per la villeggiatura ma proprio per fini residenziali;
presenta una struttura semplice con un cortile quadrato, nella quale l’edificio principale si presenta strutturato solo con piano terra e piano nobile, con facciata leggermente ingentilita da lesene e timpani. Il corpo direttamente sulla strada è invece composto
da due piani che sovrastano l’asimmetrico portone di ingresso, molto spostato sul lato sinistro. L’edificio è interamente di proprietà privata.

LA VILLA GABBIONETA

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Il suo cancello di ingresso sfocia direttamente sulla
piazza del castello, ai lati del monumento di Perrucchetti. Villa Gabbioneta ha funzione esclusivamente residenziale ed ha origine relativamente recente, risalendo la sua costruzione alla seconda metà dell’Ottocento. Caratteristica evidente dell’edificio sono la torretta panoramica (dalla quale è possibile godere uno stupendo panorama del territorio cassanese e
della bassa Bergamasca) e la struttura a “gradoni” sulla quale si erge nel mezzo di un parco secolare.
È di proprietà privata. 

IL VILLA degli ARCIVESCOVI MILANESI

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Non era certamente un privilegio di poco conto:
a Groppello d’Adda erano di casa i vescovi della diocesi più importante del mondo, dopo Roma. ll primo nucleo del Palazzo Arcivesovile risale al 1018 quale residenza del procuratore dell’Arcivescovo di Milano. Nel XVII secolo San Carlo Borromeo ne
ordinò il rifacimento e il cugino Cardinale Federico Borromeo, Arcivescovo ambrosiano tra il 1595 e il 1631, lo destinò a “servire ad una decorosa villeggiatura per componenti del Clero”. L’edificio si eleva su tre piani e presenta una pianta ad U. L’ingresso
è caratterizzato da una suggestiva scala esterna, formata da due rampe in curva che si uniscono in una balconata centrale sorretta da esili pilastri: elemento questo non comune nella architettura lombarda.

IL LINIFICIO CANAPIFICIO NAZIONALE

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La Rivoluzione industriale dietro casa. Non serve fare lunghi viaggi per rendersi conto di cosa è stato quel processo di trasformazione economica e industriale che fra ‘800 e ‘900 ha letteralmente cambiato il volto del mondo. Basta andare a Cassano d’Adda e chiedere dove si trova il vecchio Canapificio.

Lì, fra quei capannoni abbandonati, quelle officine diroccate e quegli uffici mezzi distrutti, sono state scritte alcune delle pagine più importanti della storia dello sviluppo economico lombardo. Il Linificio-Canapificio nazionale, costruito nel 1873 su di un lotto di 120 mila metri quadrati affacciato sull’Adda, è il simbolo della Rivoluzione industriale made in Lombardia, con il fiume leonardesco come co-protagonista. Lungo le sue sponde, che separano la Provincia di Milano da quella di Bergamo, dalla metà dell’Ottocento in poi sono cresciute filande, setifici e vellutifici, oltre alle grandi centrali elettriche come la Bertini e la Taccani, che sfruttandone la corrente fornivano energia elettrica alle aziende. E il Canapificio di Cassano era uno dei siti produttivi più importanti, un vero e proprio fiore all’occhiello dell’imprenditoria lombarda, circondato da altre eccellenze come il ponte di Paderno d’Adda del 1889, opera d’ingegneria civile che ha poco da invidiare alla tour Eiffel, e il villaggio Crespi del 1878, esempio unico al mondo di “Company town”, dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità.

La parabola del Canapificio di Cassano, uno dei più grossi d’Europa, può essere considerata come il simbolo di tutte le aree industriali abbandonate, dove oramai si mischiano memoria e degrado. Il Canapificio non fu mai solo e solamente un posto di lavoro. Per Cassano e i borghi vicino fu qualcosa di più, fu un luogo dove guadagnarsi il rispetto sociale attraverso l’impegno quotidiano, il luogo dove trovare nuovi amici e forse anche l’amore. Fu, in una parola, una specie di grande famiglia.


La parabola del Canapificio di Cassano, uno dei più grossi d’Europa, può essere considerata come il simbolo di tutte le aree industriali abbandonate, dove oramai si mischiano memoria e degrado.

Oggi, a oltre 20 anni dalla chiusura, di quell’efficienza produttiva, di quella visione sociale dell’imprenditoria, non rimangono che pochi ricordi custoditi dai cassanesi più anziani. Tutto il resto, è degrado a uno stadio quasi terminale. Il Canapificio è abbandonato a se stesso e a poco sono valsi i diversi tentativi di riportarlo in vita trasformandolo in un nuovo quartiere residenziale con uffici e negozi, cercando al contempo di mantenere parte delle vecchie strutture come testimonianza. La sua chiusura nel 1995 ha significato la fine di un’epoca. Il Canapificio era una città nella città, che scandiva anche il passare delle ore con la sirena della produzione. E una volta fuori, c’era il Dopolavoro, dove fra i dipendenti s’intrecciavano conoscenze, amicizie e amori. Tre generazioni di cassanesi si sono date il cambio là dentro.


Il Canapificio è abbandonato a se stesso e a poco sono valsi i diversi tentativi di riportarlo in vita trasformandolo in un nuovo quartiere residenziale con uffici e negozi.

Tre come i piani di riqualificazione che si sono succeduti in questi ultimi anni, i primi due rimasti fermi al palo, il terzo, arrivato dopo una lunga inchiesta locale per tangenti che ha tenuto bloccata l’amministrazione per due anni, prevederebbe di recuperare il comparto con un dimezzamento della volumetrie, preservando alcune parti di pregio come i 100 metri di tettoia utilizzata come corderia e la ciminiera a Nord. Per il momento, però, si tratta solo di progetti sulla carta.

IL DOPOLAVORO

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Dal lato opposto al Revellino, su via Colognesi, si apre il cancello che conduce al Dopolavoro. Realizzato secondo lo stile razionalista proprio dell’epoca, l’edificio fu costruito tra il 1939 e il 1940
su impulso di Senatore Borletti, Presidente del Linificio Canapificio Nazionale. Secondo la consuetudine di molti imprenditori della prima metà del Novecento, alla fabbrica venivano infatti affiancati
anche tutti i servizi utili a migliorare la vita relazionale, sociale e culturale del lavoratore. All’interno della struttura del Dopolavoro - a tre piani e dotato di una bella terrazza su Muzza e Isola Borromeo
- erano ospitati un bar, una biblioteca, una sala teatrale, aule per attività ricreative e anche locali per l’igiene personale (docce e bagni). L’immobile è poi divenuto proprietà comunale ed è oggi sede di attività dedicate perlopiù ai giovani. Il parco circostante
è oggi inserito nel circuito dei “Parchi letterari” per i richiami manzoniani e leonardeschi che offre il territorio. Nel parco sono ospitate anche alcune attività
sportive

LA STORIA DI CASSANO D'ADDA

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Posto sulla riva destra dell'Adda, Cassano fa parte della provincia di Milano, da cui dista circa trenta chilometri. Il Naviglio della Martesana, inaugurato nel 1457, lo confina a nord, costituendo un importante mezzo di comunicazione congiungente il paese al capoluogo lombardo. La storia cassanese risente di questa importante caratteristica, lo testimoniano diverse ville ( Borromeo, Brambilla....) di auguste famiglie che da Milano si trasferivano a Cassano per trascorrere la villeggiatura, fino ad essere sede definitiva. A sud-est corre la Muzza, fatta costruire col duplice scopo di proteggere l'antico castello, monumento più antico, e portare in quel di Lodi l'acqua necessaria per l'ospedale. Né e da escludere la presenza del lago Gerundo, che già ai tempi di Teodosio si cominciava a prosciugare ed oggi è definitivamente scomparso.
 

Terra ricca di corsi d'acqua, fertile e ridente, quindi meta di battaglie a scopo di conquista. Punto strategico di rilevante importanza in tutti i tempi, fin da quello dei Cartaginesi. In origine il nome era semplicemente Cassano, probabilmente derivante dal nome gentilizio romano " Cassius ". E' probabilmente, lo stesso Cassiciacum  luogo della conversione di S. Agostino. Certo è che la prima volta che appare il suo nome su un documento scritto è nell'anno 877, nel diploma di Carlomanno. Famoso per le tante battaglie combattute al valico sull'Adda che divideva il ducato di Milano dalla Repubblica Veneta.

Da Cassano passarono il Barbarossa (1158), Ezzelino da Romano (1259), Eugenio di Savoia (1705), il generale Suwarov (1799). Qui soggiornarono Napoleone, in villa Borromeo, e in Villa Brambilla, Napoleone III, prima della battaglia di Solferino. Il suo castello era residenza degli arcivescovi di Milano fino al 1311 poi passò ai Visconti e, quindi, agli Sforza. Divenne feudo dei D'Adda, dei Castaldo, dei Bonelli e ritornò ai D'Adda.

Con la rivoluzione industriale, per le sue caratteristiche fluviali, per la vicinanza di Milano, Cassano viene individuata come sede ideale di un stabilimento del Linificio Canapificio Nazionale, che tuttora esiste, seppure in forma assai limitata rispetto agli anni in cui la vita economica locale era legata solo al Linificio, unica industria.
Ora il tessuto industriale è ricco, con prospettive di ulteriore incremento. Attualmente gli abitanti sono oltre 16.700;  due le frazioni che fanno capo: Cascine S. Pietro e Groppello d'Adda. 

Per chi giunge da Treviglio, per dirigersi verso Milano, Cassano appare in alto, maestoso su di un promontorio, che è la parte più antica, che ospita le più antiche abitazioni. Cassano è ricco di chiese: Prepositurale, S. Dionigi, S. Ambrogio, S. Antonio, S. Aquilino, S. Pietro, Cristo Risorto e Annunciazione, due parrocchiali a Groppello e l'oratorio di S. Antonio, tutte significative per opere d'arte. Numerosi sono anche i palazzi e le ville: D'Adda, Brambilla, Oratorio, degli arcivescovi a Groppello. Il territorio comunale è diviso in ben cinque parrocchie di cui quattro di giurisdizione del vescovo di Cremona e la quinta della diocesi di Milano. Cassano è sede delle carceri, dell'Ospedale, di un liceo scientifico e della caserma dei Carabinieri.

(da C.Valli-C.Cassinotti-A.Aresi-F.Gilli-G.Airoldi, Nuovo Dizionario Cassanese, 1996)

LA CHIESA DI SAN ZENO

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La settecentesca Chiesa Parrocchiale dell'Immacolata e S. Zeno è stata edificata sulle precedenti costruzioni citate nei documenti diocesani del 1206 e del 1380; si trova sull'antica strada romana che collega Brescia con Milano, quella che i cassanesi chiamano la “cuntrada magjura” soggetta all' intenso traffico viario della strada statale n.11.
Denominata anche il Duomo di Cassano dovuto alle sue enormi dimensioni, oltre 100mt di lunghezza, rispetto al resto del paese quando fu edificata. 
Gli affreschi che si vedono nelle imponenti cupole ricordano le vicende che hanno visto il passaggio da Cassano di soggetti storici come il Barbarossa, il Carroccio con il gonfalone di S. Ambrogio, Ariberto d'Intimiano, Ezzelino da Romano, il Principe Eugenio di Savoia, il Gen. Suvarow, Napoleone III ed altri.
La parrocchia è stata altresì testimone di grandi personaggi storici: S. Dionigi, S, Barnaba, Papa Martino V, S. Carlo Borromeo, F. Petrarca, L. Tolstoi, G. Verdi, W.A. Mozart, G. Donizetti, giusto per citarne alcuni.


La chiesa attuale è frutto di un grande lavoro di ristrutturazione svolto ai tempi del Parroco don Carcano nel 1776 ed ultimato quando era Parroco don Guaitani nel 1780, ad opera dell' Arch. Paolo Bianchi, mentre le statue della facciata sono dello scultore Carlo Marinelli. La chiesa venne prolungata tra il 1886 ed il 1890 su disegno dell'Arch. Carlo Maciachini di Varese con l'aggiunta di una imponente cupola.
Successivamente, dopo il crollo avvenuto nel luglio 1890, su progetto dell'Arch. Cesare Nava fu ricostruito il prolungamento con una doppia cupola: la chiesa venne inaugurata quindi nell'ottobre del 1897.
Con queste opere la superficie totale della chiesa passò dai mq. 480 iniziali agli attuali 900.
Il Parroco Mons. Aristide Favalli (1882–1962) ultimò l'opera di abbellimento dal 1936 al 1942 realizzando un completo progetto di decorazioni ad affresco, affidato al pittore veronese Gaetano Miolato (1885–1961). Gli affreschi sono stati riportati all'antico splendore dai restauratori Giuliano Costa e Morena Guerra, su incarico di Mons. Valli.
Nel 1974 Mons. Carlo Valli provvide alla sistemazione del presbiterio secondo le nuove regole liturgiche volute dal Concilio Ecumenico Vaticano II con la realizzazione dell'altare marmoreo rivolto verso i fedeli.

LA CHIESA DI SAN DIONIGI

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Chiesa di San Dionigi - Dell’originario tempio non rimane più nulla: l’attuale struttura è infatti dovuta a lavori sviluppatisi tra il 1599 e il 1610 (data riportata sulla facciata dell’edificio) nell’ambito del programma di rinnovamento degli edifici religiosi voluta dagli Arcivescovi di Milano. Suggestivo il ridente ciclo di affreschi e il ciclo decorativo di stucchi con angeli e frutta che arricchiscono presbiterio ed abside. A proposito di questa chiesa e del suo ricco patrimonio iconografico, lo storico milanese Ignazio Cantù ebbe a scrivere nella sua opera Le vicende della Brianza: “è abbellita di tante considerevoli pitture, le quali, secondo il giudizio di taluni, si riferiscono ad insigni autori”. Infatti nel coro il Cinisello dipinse San Barnaba impegnato nell’evangelizzazione, nel presbiterio invece rappresentò l’imperatore Costanzo nell’atto di condannare all’esilio San Dionigi. Sui muri laterali due affreschi raffigurano l’uno il ritorno dall’Armenia della salma di San Dionigi, l’altro il carro che trasporta San Dionigi rimasto per miracolo bloccato. Una rappresentazione della Trinità campeggia sopra l’altare. Nel tempio si venera una icona mariana molto antica, protagonista di un evento miracoloso accaduto nel 1615, quando un giovane ammutolito e paralizzato in seguito ad un forte spavento, riacquistò improvvisamente la salute. L’oratorio di San Dionigi, importante sia sotto il profilo storico-artistico che sotto quello devozionale noto anche per la miracolosa icona mariana ivi custodita. Fu sede della prima sepoltura del vescovo milanese Dionigi, morto in esilio in terra di Armenia: una destinazione ricordata dagli stupendi affreschi dei Fiamminghini e di Vincenzo Cinisello, che rievocano la leggenda della temporanea resurrezione di San Dionigi, ritornato in vita per qualche istante nel 375 proprio sulle rive dell’Adda, per salutare Sant’Ambrogio e indicare il luogo della propria sepoltura. Purtroppo la postuma volontà del Santo non fu rispettata e il suo corpo poté riposare a Cassano solo per pochi secoli, fino alla sua definitiva traslazione a Milano.

ORATORIO DI SANT ANTONIO

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Può non risultare facile per un turista o un appassionato d’arte, ritrovare questo piccolo capolavoro, collocato in fondo al vicolo che da via Cassano conduce ad una naturale terrazza sull’Adda e la sottostante campagna. La piccola chiesa è dedicata a Sant’Antonio da Padova; fu edificata attorno al 1632 quale pertinenza della vicina Villa Arcivescovile, verso la quale rivolge il suo ingresso. Realizzato in molera - materiale povero e ricavato dal fiume - l’edificio si presenta
esternamente sobrio e lineare: quattro lesene si dispongono ai lati di un portale e di una finestra quadrata mentre un profondo timpano sovrasta la intera facciata. La presenza di una sacrestia, attaccata alla parete destra, ne rende tuttavia disarmonica la struttura architettonica. Gli interni si presentano molto luminosi e ospitano il suggestivo ciclo di affreschi dedicato a sette episodi della vita di
Sant’Antonio, realizzato nel 1838 da Giovan Mauro della Rovere detto il Fiamminghino. La datazione dell’opera pittorica è certa e venne apposta dallo stesso Fiamminghino, sotto la firma ai piedi del dipinto dedicato al “Miracolo della bilocazione”. All’esterno, si apre il camminamento che anticamente conduceva alla villa che ospitava il soggiorno estivo degli arcivescovi ambrosiani.

IL GEN. EMILIO DE BONO

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Nacque a Cassano d’Adda il 19 marzo 1866; sua madre, Emilia era una Bazzi, discendente di una famiglia di patrioti e stimati professionisti cassanesi. Militare di carriera, durante la Prima Guerra Mondiale, si distinse nella presa di Gorizia e più tardi nelle azioni di difesa e di offesa sul Grappa. Fu autore della famosa “Canzone del Grappa”, tra i più conosciuti motivi della Grande Guerra. Collocato in posizione ausiliaria nel 1920, ebbe gran parte nell'organizzazione del
movimento fascista; nell'ottobre 1922 fu uno dei quadrumviri della "marcia su Roma" e successivamente capo della polizia e primo comandante della Milizia volontaria per la sicurezza Nazionale. Nel 1925 fu nominato governatore della Tripolitania e nel 1929 ministro delle colonie. Dal gennaio 1935 passò in Eritrea, dove si trovò a tenere il comando delle operazioni nella prima fase della guerra contro l'Etiopia. Fu Senatore e membro di numerosi consigli di amministrazione. Ebbe per tutta la vita un rapporto privilegiato con Cassano, dove tornava per le vacanze e periodi di riposo in una villetta su viale Rimembranze. Nella storica seduta del Gran Consiglio del Fascismo del 25 luglio 1943, sfiduciò Mussolini. Per questo motivo pochi mesi più tardi fu condannato a morte
dopo un breve processo intentato dalla Repubblica Sociale. Nonostante la non più tenera età fu fucilato a Verona la mattina dell’11 gennaio 1944. Riposa nel cimitero di Cassano d’Adda nella cappella di famiglia. 

IL GEN. GIUSEPPE PERRUCCHETTI

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Pierluigi Scolè PERRUCCHETTI, Giuseppe Domenico. – Nacque a Cassano d’Adda (Milano) il 13 luglio 1839, terzogenito dell’ingegner Giuseppe e di Margherita Manzoni, cugina del celebre scrittore Alessandro. 
(Nato all'interno di Casa Somaglia, nella stanza matrimoniale oggi sede della U.S.Pierino Ghezzi 1958)

Perrucchetti fu sposato con Maria Clotilde Rotta, matrimonio contratto il 15 gennaio 1889 e da cui non vennero figli.

Conseguita nel 1857 la maturità presso l’Imperial Regio ginnasio liceale di Sant’Alessandro di Cassano d’Adda, il 15 dicembre 1857 s’iscrisse a matematica all’Università di Pavia, entrando l’anno successivo come praticante presso lo studio dell’ingegner Giuseppe Legnani, mentre nel frattempo frequentava il secondo corso di ingegnere architetto.

Nel 1859 abbandonò la Lombardia ancora sotto il dominio austro-ungarico, per raggiungere in Piemonte i fratelli maggiori, Carlo ed Emanuele, entrambi ufficiali garibaldini.

Il 3 aprile 1860 venne ammesso al corso suppletivo presso la Regia militare accademia d’Ivrea, uscendone il 6 marzo 1861 col grado di sottotenente. Il 20 marzo venne assegnato al 24° reggimento fanteria, presso il quale ricevette la nomina ad aiutante maggiore in seconda il 26 aprile 1862; il 20 giugno 1864, con la nomina a tenente, venne trasferito allo Stato maggiore, dove nel 1866 venne nominato applicato ai lavori di topografia per le province di Caltanisetta e di Catania. Lasciò ben presto l’incarico per lo scoppio, in quello stesso anno, della terza guerra d’indipendenza, nella quale si distinse tanto da guadagnare la medaglia d'argento al valor militare «Per il molto coraggio e l'intelligente iniziativa con cui, esponendosi senza riguardo al fuoco, secondava il Capo di Stato Maggiore sul campo di battaglia e riusciva ad incoraggiare i soldati in vari attacchi il 24 giugno 1866 a Custoza». Al termine del breve conflitto ricevette la nomina a capitano, sempre nelle file dello Stato maggiore, e negli anni successivi fu artefice di numerose e rischiose missioni oltre frontiera allo scopo di eseguire minuziosi studi topografico-militari della regione alpina.


Durante una ricognizione in Tirolo venne arrestato presso Brixen (Bressanone); trattenuto per tre settimane in prigione a Innsbruck fino al 20 ottobre 1867, due giorni dopo rientrò a Milano, dove il 27 ottobre venne nominato facente funzione del Capo di stato maggiore della locale divisione militare; l’11 dicembre venne trasferito alla divisione di Bologna e l’11 febbraio 1868 a quella di Verona. Dall’aprile 1872 al marzo 1878 insegnò geografia militare alla Scuola di guerra di Torino. Il 26 agosto 1877 ottenne la promozione a maggiore di fanteria, rientrando allo Stato maggiore dell’esercito il 18 dicembre 1879. Dal luglio 1880 al maggio 1885 riprese l’insegnamento alla Scuola di guerra e, dal 27 maggio 1884, assunse anche l’incarico di maestro di Principi di Casa reale in qualità di governatore di Emanuele Filiberto, duca d’Aosta, futuro comandante della 3a armata nella Grande Guerra. Lasciato il prestigioso incarico il 12 marzo 1890, il 30 marzo Perrucchetti venne destinato col grado di colonnello al comando del 61° reggimento fanteria, transitando il 12 agosto 1891 al vertice del VII corpo d’armata in qualità di colonnello di Stato maggiore e, dal 16 marzo 1893, al X corpo d’armata. Promosso maggior generale il 3 marzo 1895, dal 1° aprile resse  il comando della brigata di fanteria Reggio, dalla quale transitò alla guida della brigata Alpi il 1° novembre 1897. Promosso tenente generale il 14 gennaio 1900, dal 16 febbraio 1900 assunse il comando della divisione di Firenze, per passare al comando della divisione di Milano il 30 marzo 1902. Al compimento del 65° anno di età, il 13 luglio 1904, venne posto in posizione ausiliaria per limiti di età, ricevendo il 6 giugno 1907 la nomina a Commissario governativo presso la Commissione d’inchiesta sull’Esercito, nella quale rimase fino al compimento dei lavori, avvenuto il 30 giugno 1910 curando le relazioni pubbliche su numerosi argomenti: Difesa dei confini; Istituti militari; Corpo del servizio sanitario militare; Servizio farmaceutico militare, Istituto geografico militare. Il 16 agosto 1910 ottenne il collocamento a riposo per anzianità di servizio e il 17 marzo 1912 fu nominato senatore del Regno.

Oltre alla medaglia d’argento meritata sul campo di battaglia, nel corso della lunga carriera venne insignito di numerose onorificenze: Medaglia a ricordo delle guerre combattute per l’Indipendenza e l’Unità d’Italia; Cavaliere degli ordini della Corona d‘Italia (1878) e dei Ss. Maurizio e Lazzaro (1883); Ufficiale degli ordini della Corona d’Italia (1885) e dei Ss. Maurizio e Lazzaro (1887); Commendatore dell’Ordine della Corona d‘Italia (1893); Grande Ufficiale dell’Ordine della corona d’Italia (1899); Commendatore dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro (1902); Grande Ufficiale dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro (1906); Gran cordone dell’Ordine della Corona d’Italia (1908); medaglia d’oro con corona reale per i quarant’anni di servizio (1910).

Rifiutò per due volte l’incarico di ministro della Guerra per l’impossibilità di disporre dei finanziamenti da lui reputati necessari per le forze armate.


Fu autore di numerose pubblicazioni di carattere militare: La difesa di alcuni valichi alpini e l’ordinamento militare territoriale della zona di frontiera alpina (in Rivista militare, 1872, maggio); Il Tirolo, saggio di geografia militare (Roma 1874); Esame preliminare del teatro di guerra italo-austro ungarico (Torino 1878); Dal Friuli al Danubio (Torino 1878); La pianura lombardo veneta e le coste adriatiche (Torino 1878); Teatro di guerra italo franco dal Ticino al Rodano (Torino 1882); Del metodo degli studi per la difesa dello Stato (Roma 1882); Teatro di guerra italo svizzero (Torino 1883); La difesa dello Stato (Torino 1884); La presa di Susa (Roma 1894); Verona nelle vicende militari d’Italia (Roma 1897); Guerra alla guerra? (Milano 1907); Questioni militari d’attualità (Torino 1910).

Collaborò inoltre con alcuni quotidiani di carattere nazionale: Il Corriere della Sera di Milano, La Stampa di Torino, La Tribuna di Roma. Nei suoi scritti, il cui intento principale era la diffusione del concetto di difesa della patria, dimostra competenza associata non di rado a particolare acutezza di vedute. Fu mosso dalla considerazione che gli argomenti militari non potessero più rimanere circoscritti a una ristretta cerchia di persone, ma dovessero trasformarsi in questioni di pubblico dibattito, poiché la presenza generalizzata degli eserciti di massa derivati dall’introduzione del servizio militare obbligatorio finiva per coinvolgere la quasi totalità dei cittadini abili di uno Stato.

Il suo nome è legato al Corpo degli alpini, del quale è stato a lungo ritenuto l’indiscusso fondatore:

«A lui la patria e l'esercito debbono l'organizzazione degli alpini, che oggi sono una delle maggiori glorie delle nostre armi. Profondo e geniale negli studi militari, a contatto dei generali più reputati del nostro esercito, collaboratore in sott’ordine a Verona del generale Pianell, si sentì irresistibilmente attratto dal grandioso problema della nostra difesa alpina. Versatissimo nella geografia e nell’arte militare, conoscitore profondo di tutta la frontiera alpina e delle regioni finitime, che aveva avuto occasione di percorrere e di studiare personalmente, ebbe modo di mettere in luce i suoi geniali concetti circa la difesa dello stato e riuscì a farli trionfare» (discorso commemorativo in Senato del sen. gen. Paolo Morrone, 5 dicembre 1916, in www.senato.it).

Un ruolo divenuto tuttavia oggetto di discussione a partire dal 1985, quando il generale Pier Giorgio Franzosi, in un articolo pubblicato sulla Rivista militare della quale era direttore, attribuì la paternità al colonnello Agostino Ricci.

Che Perrucchetti non sia stato l’unico a teorizzare all’epoca la necessità di creare truppe specializzate nella guerra in montagna è indubbio; così come risulta palese la parte svolta dall’allora ministro della Guerra Cesare Ricotti-Magnani nell’attuazione del provvedimento costitutivo, ma è altrettanto certo che gli alpini vennero organizzati nei primi anni della loro esistenza su un modello simile a quanto prospettato da Perrucchetti nella prima pubblicazione apparsa sull’argomento, così da consentire di riconoscergli quantomeno il merito di essersi più di altri avvicinato sul piano teorico a quanto effettivamente realizzato.

Perrucchetti morì a Cuorgné (Torino) il 5 ottobre 1916.

LA LEGGENDA DI VALENTINO MAZZOLA

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Il Capitano per antonomasia, quello con la “C” maiuscola. 
Valentino Mazzola non è stato soltanto un grandissimo giocatore e non è stato neppure soltanto il numero 10 per eccellenza nell’intera leggenda granata. Il giocatore simbolo del Grande Torino è stato soprattutto il mito fra i miti. Tanti i gesti passati alla storia: fra tutti quello che allo stadio Filadelfia, il suo stadio, diventava una consuetudine. Se il Grande Torino andava sotto, capitan Valentino tirava su le maniche: così nacque l’altro mito, quello del quarto d’ora granata, in cui la squadra ribaltava il risultato e vinceva.

Valentino Mazzola: da Cassano d’Adda al Torino

Nato a Cassano d’Adda il 26 gennaio del 1919, (la sua casa natale vi è ancora ed è presente all'interno dello storico Ricetto cittadino) inizia a giocare giovanissimo nella squadra dell’Alfa Romeo, azienda che gli garantirà anche un impiego, oltre al posto in squadra. All’inizio del 1939, Valentino parte per il servizio militare in marina a Venezia, dove viene notato dai dirigenti locali ed acquistato per cinquantamila lire nel 1940.

Nel Venezia gioca tre stagioni ad alto livello, conquistando la coppa Italia nella stagione 1940/41 e venendo notato da quel grandissimo scopritore di talenti che era l’allora presidente granata Ferruccio Novo, che acquista Mazzola dai lagunari (assieme al compagno Ezio Loik) per la stratosferica cifra di un milione e 300 mila lire, somma ritenuta quasi scandalosa all’epoca ma che permise al Venezia di risanare molti dei propri debiti sportivi.

Valentino Mazzola: il capitano del Grande Torino

Di quel Torino, che sarebbe ben presto diventato il Grande Torino, divenne simbolo e Capitano, vera e propria icona di una delle più grandi squadre mai apparse al mondo, perita in blocco il 4 maggio 1949 nello schianto contro il terrapieno della basilica di Superga.

Mezzala sinistra dotata di tecnica sopraffina, straordinaria resistenza fisica e sorprendente fiuto del gol, in granata Valentino vinse – dribblando anche la guerra – cinque scudetti consecutivi, collezionando 195 presenze e 118 gol.

GIACINTO FACCHETTI

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Nato a Treviglio il 18 luglio 1942, ha indissolubilmente legato il suo nome a Cassano d’Adda, dove visse e dimorò con la sua famiglia per oltre quarant’anni. Sportivo dotato di grande agilità e presenza, divenne celebre nel corso della sua militanza sotto i colori dell’Inter, tra il 1960 e il 1978, per i quali collezionò 634 presenze e 75 reti. Della squadra neroazzurra fu poi dirigente e presidente tra il
2004 e il 2006. Capitano della nazionale italiana dal 1966 al 1977, ha partecipato alla vittoriosa edizione del campionato d'Europa del 1968. Con la maglia azzurra ha preso parte anche a tre edizioni del campionato del mondo (Inghilterra 1966, Messico 1970, Germania Ovest 1974), laureandosi vicecampione nel 1970 e totalizzando 94 presenze. E’ considerato uno dei migliori giocatori nella storia del calcio italiano ed occupa la novantesima posizione nella speciale classifica dei migliori calciatori del XX secolo pubblicata dalla rivista World Soccer.
Nel 2004 è stato inserito nella FIFA 100, una lista dei 125 più grandi giocatori redatta da Pelé e dalla FIFA in occasione del centenario dalla sua fondazione.
Morì prematuramente a Milano il 4 settembre 2006.

GIANNI MOTTA 

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Conosciuto come "Il biondino di Groppello d'Adda", nasce in realtà a Cassano d'Adda, in provincia di Milano il 13 marzo 1943.
Atleta longilineo, scalatore e passista, stilista, con una classe purissima ha avuto un folgorante avvio di carriera. La sorte, un carattere particolare e non particolarmente disciplinato, oltre a un malanno a una gamba che lo ha notevolmente handicappato sono stati gli ostacoli maggiori per la realizzazione di un palmares ben più brillante di quello pur sostanzioso che è riuscito a mettere al suo attivo.
Ottiene la sua prima vittoria a sedici anni, nella categoria allievi. Gareggiava per il G.S. Faema di Milano e il suo mentore era Vittorio Seghezzi. Alla Faema rimase fino al salto nei professionisti avvenuto nel 1964, grazie a Colnago. Aveva lavorato fino a diciannove anni, dai dieci ai quattordici come pantofolaio, poi come pasticciere alla "Motta". Una sessantina di affermazioni nelle categorie minori, un titolo italiano allievi, il Giro della Valle d'Aosta e la San Pellegrino a tappe: mai tuttavia la maglia azzurra ai mondiali, ma solo per punizione avendo rifiutato la Cento chilometri a squadre e la Corsa della Pace.
Irrequieto e anticonformista fuori corsa, grintoso e spavaldo in gara; il colpo di pedale facile ed efficace, le impennate brucianti, i guizzi irresistibili agli arrivi gli propiziarono una grande massa di ammiratori antagonisti di quelli del suo contemporaneo Gimondi con il quale ha dato vita a una rivalità fonte di scontri di grande interesse. Cosa che gli impedì di far parte per un paio d'anni proprio della Salvarani, la squadra di Gimondi. Ma i rapporti tra i due non si aggiustarono. Anzi, la decisione del c.t. Defilippis di escluderlo dalla nazionale del '73 a Barcellona venne interpretata come la mossa giusta per spingere Felice, senza la preoccupazione per l'assenza del rivale, alla conquista della maglia iridata.
In occasione di un altro campionato mondiale, nel '67, fece scalpore sottoponendosi a una preparazione inconsueta e stressante da parte di un medico-mago, il dottor De Donato; si presentò preparatissimo sul Circuito di Heerlen ma, subendo il peso totale della corsa, nella volata finì soltanto 4° dopo Merckx, Janssen e Saez dando vita a una polemica bruciante.
A 21 anni aveva già alle spalle un ricco palmares con 8 vittorie stagionali tra le quali il Giro di Lombardia, il Trofeo Baracchi (in coppia con Fornoni) e un quinto posto al Giro d'Italia; nella stagione successiva alle vittorie aggiunse un eloquente terzo posto al Tour de France (dietro Gimondi e Poulidor) che annunciò il trionfo nel Giro d'Italia del '66 e quello del Giro di Svizzera del '67.
Non seguirono altre grandi prove nelle corse a tappe e le sue vittorie, pur se numerose, non furono più di gran risalto. Di rilievo i quattro successi nella Tre Valli Varesine e i tre nel Giro dell'Emilia, anche se una corsa come la Milano-Sanremo gli è sempre sfuggita e lo ha visto per due volte secondo ('67 e '72)
Il 1974 è la sua ultima stagione anche se due anni dopo la fine della carriera, nel 1976, fece un'apparizione nel Giro delle Puglie che però non ebbe seguito.

KRIZIA

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Seppure non cassanese di nascita, alla città è legata da vincoli di parentela e dalla breve parentesi professionale esercitata come maestra. Mariuccia Mandelli, conosciuta con lo pseudonimo di Krizia, è divenuta una delle più famose firme nel mondo della moda. Nata a Bergamo nel 1932, terminati gli studimagistrali, dopo aver esercitato brevemente la professione di maestra, si è dedicata alla sartoria e alla moda. Nel 1957 presentò al SAMIA (Salone mercato
internazionale dell'abbigliamento) di Torino la sua prima collezione ufficiale, nel 1964 debuttò sulla passerella della Sala Bianca di Palazzo Pitti a Firenze con una collezione che le valse il premio Critica della moda. Nel 1967 creò Kriziamaglia, una linea interamente dedicata alla maglieria, alla quale ne sono seguite, nel tempo, molte altre. Nel 1984 si fece promotrice di Spazio Krizia, punto d'incontro per attività culturali (mostre, concerti, incontri con scrittori).
Tra i tratti distintivi della moda di Krizia, oltre ai temi animalier e alla passione per le geometrie, si ricordano le ispirazioni artistiche, le suggestioni orientali, l'uso architettonico del plissé e soprattutto la costante ricerca di nuovi materiali. Morì a Milano nel 2014.

IL GELSO 

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Di fronte al castello visconteo si erge un vero e proprio monumento della natura. Si tratta del “gelso” secolare (in dialetto “el murun”), un esemplare di “morus alba” che lì vive dal XVII secolo. E’ l’ultimo
sopravvissuto degli oltre 4500 gelsi che si trovavano a Cassano d’Adda: particolare è quindi l’attenzione che gli viene riservata, a testimonianza di un periodo nel quale il gelso era una importante risorsa economica. Fino al 1915, infatti, l’intera ala destra del
castello era destinata a setificio. La base del gelso secolare è lunga circa 1,60 metri, l’albero presenta cinque ramificazioni principali ma numerosi sono stati gli interventi (con l’innesto di sostegni artificiali) per consolidarne la struttura.

PASSEGGIATA MONS. ARISTIDE FAVALLI

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La passeggiata pedonale lungo l’Adda ha finalmente un nome: si è infatti deciso di intitolare questo suggestivo angolo cassanese
alla memoria di Mons. Aristide Favalli. Si da così esecuzione alla Deliberazione di Consiglio comunale n. 30 del 16 giugno 2020, che ha approvato una mozione presentata da sei consiglieri comunali.
La “passeggiata Mons. Favalli” ha inizio dalla fine di via Cinque Martiri fino al Dopolavoro. Un tratto paesaggistico molto importante per la nostra città e che passa ai piedi del millenario castello visconteo.

LA CICLABILE LUNGO L' ADDA

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LA CICLABILE LUNGO IL NAVIGLIO

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GROPPELLO D'ADDA E IL RUDUN

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Il nome Gropello significa: nodo, crocicchio, incontro stradale.Il Card. Schuster nel suo "Odoporicon" fa derivare il nome dal latino: crepellum, specie di armatura di ferro, donde il nome gladiatorio di crupellarius.Da questo paese trae il nome una importante famiglia antica: i Cropelli, che diede notai, legati, avvocati, diplomatici e condottieri che poi si spostò nel cremonese a Soncino. Basterebbe ricordare Tomaso da Cropello, vicario di Bernabò e di Galeazzo Visconti e Mulo da Gropello, condottiero.

Tutto il paese, attualmente, fa parte del comune di Cassano d'Adda, ma ebbe fino alla metà del 1800, una sua amministrazione indipendente. Appartiene alla diocesi di Milano ed ebbe 1'onore di ospitare tutti gli arcivescovi di Milano che qui a Gropello avevano la villa per le vacanze autunnali.Il Dizionario orografico universale dell'Italia, vol. I, "Lombardia dei Bianchi Fabi" Milano 1850, cosi descrive Gropello:“Amenissimo villaggio tersecato dal Naviglio della Martesana, che si passa sovra un bel Ponte, ed accostantesi alla riva destra dell'Adda, che qui scorre tumultuosa e forma alcune verdeggianti isolette. 

Giace sopra un alto colle, da cui si gode una pittoresca prospettiva, lungo il corso del fiume Adda, sulla Gera d’Adda e la provincia bergamasca, anzi fino a Bergamo che ne è lontano 10 miglia .Il territorio appartiene per intero alla mensa arcivescovile di Milano ed è un avanzo degli immensi poderi che possedeva una volta.Il palazzo che serve ora di residenza agli arcivescovi, esisteva fino al 1018 ed ivi risiedeva il procuratore.L’arcivescovo Eriberto vi è dipinto in porpora tessuta d’oro per distinguerlo dagli Ordinari di allora che usavano la semplice porpora.

Vi era un bel ponte sull’Adda, rovinato dai cremonesi nel 1160.”   Da: "I Quaderni del Portavoce n. 4 - La tera l'è basa" di Don Carlo Valli       Fotografie di: Renato Siesa

CASCINE SAN PIETRO

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Cascine San Pietro ha avuto diverse denominazioni: anticamente si chiamava Bergias, poi Cascine Franche, infine Cascine S. Pietro.
È una frazione di Cassano d'Adda, separata dal centro amministrativo civile da due corsi d'acqua: l'Adda e la Muzza.Nasce attorno ad una corte storica, asse economico e di difesa, cresce attorno alla chiesa di San Pietro apostolo, maturando gradualmente fino ad autonomia comunale e religiosa.La chiesa e dedicata a S. Pietro, ma si trovano documenti in cui si dice dedicata a S. Pietro della stella (1470) o anche ai Santi apostoli Pietro e Paolo.La frazione è formata da un centro di cascine e villette moderne, da quattro condomini e da cascinali a raggio nella campagna.Cresciuta a dimensione rispettabile, e autonoma per i molti servizi sociali, scolastici e religiosi, per il numero della popolazione per le numerose costruzioni moderne.Ha un proprio dialetto che si diversifica negli accenti ed anche in certi vocaboli da quello cassanese, risentendo maggiormente, al di la del fiume, di influenze cremonesi e bergamasche, più di quelle milanesi.Ha anche una sua storia testimoniata da molteplici documenti d'archivio. L'attuale Cascine S. Pietro sorge sull'area occupata dall'antico lago Gerundio, formate dalla confluenza delle acque dell'Adda, del Serio e dell'Oglio, prima della bonifica di queste terre che diventano la storica Ghiara d'Adda.
 | Tombe romane sono trovate alla fine dell'ottocento e, nel 1976 in occasione dello scavo per la rete di distribuzione del metano, presso la cascina Porra. Qui sorgevano gli antichi villaggi di Begias e Blancanuca (Codex diplomaticus cremonensis).Nell'inventario dei beni del monastero di S. Giulia in Brescia sono anche le "Corte di Albinago, Corte S. Petri, Corte S. Cassiani" (Codex diplomaticus Longobardum dello Schiapparelli: anni 904-910)Si tratta di Cascine S. Pietro, Albignano e Cassano d'Adda?I D’Adda, grandi proprietari terrieri che avevano fatto larghi prestiti alle amministrazioni dello stato, avevano acquistato, all’inizio del 1500, le terre di Cascine S. Pietro.Già nel 1411, per decreto ducale i precedenti possessori, Briglia, Ghirindelli, Porro, avevano ottenuto l’esenzione dalle tasse.I D’Adda, con un’operazione abilmente condotta, come del resto avevano fatto
anche i Melzi, a Fara per il comune Massari dè Melzi, (Badalasca), chiedono ed ottengono la costituzione di un comune a se stante, per sfuggire al pagamento di tasse e mantenere le esenzioni ducali gia precedentemente godute.Cosi Cascine sfugge a tutte le tasse, compresa quella sul passaggio del porto. Questa posizione anomala è motivo di secolari controversie e rancori tra le due comunità di Cassano e di Cascine.Queste esenzioni sono segnalate dai documenti: 15-9-42.Ottenuta la separazione civile si richiede quella ecclesiastica dalla parrocchia di Cassano.La legge del 10.6.1757 rende operante quella di due anni prima sulla riforma dei governi locali.Sono superate autonomie, privilegi, per 1'amministrazione unica per tutti i comuni.Cascine S. Pietro appartenente alla Gera d'Adda entra a far parte del primo distretto della provincia di Lodi.Ci si domanda: come mai il territorio oltre 1'Adda geograficamente soggetto alla bergamasca, al cremonese, appartiene alla provincia di Milano?Un documento del 1525 dichiara che Cascina Franca e sempre appartenuta a Cassano, nel ducato di Milano.   Tratto da: "I Quaderni del Portavoce"  n. 4 "LA TERA L'É BASA" di Don Varlo Valli

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